giovedì 31 maggio 2012

La grammatica e la logica di Port – Royal


Antoine Arnauld (1612 – 1694), teologo giansenista, insieme con Pierre Nicole (1625 – 1695) è il più noto esponente del movimento di Port – Royal. Cartesiano, autore di numerose opere di polemica antigesuitica e antimalebranchista, la sua fama è legata soprattutto alla Logica o Arte del pensare, testo fortunatissimo del seicento, scritto con scopi didattici in collaborazione con Nicole. In questa Logica (1662) si studia “l’arte di ben condurre la propria ragione nella conoscenza delle cose” al fine di “formare il proprio giudizio e renderlo il più esatto possibile”; è divisa in quattro parti: le idee, il giudizio, il ragionamento, il metodo. I due filosofi connettono strettamente la logica (analisi delle tecniche del ragionamento) con la grammatica (analisi del discorso). Otto sono le regole fondamentali della logica: Due regole sulle definizioni: 1)Non lasciare indefinito nessun termine appena oscuro o equivoco; 2)Usare nelle definizioni solo termini perfettamente noti o già spiegati. Due regole per gli assiomi: 1) Non porre come assiomi se non cose perfettamente evidenti; 2) Accettare come evidente quel che, per essere riconosciuto vero, ha bisogno solo di un minimo di attenzione. Due regole per le dimostrazioni: 1) Provare tutte le proposizioni appena oscure, usando per la loro prova solo le definizioni precedenti o gli assiomi che siano stati accordati, o le proposizioni che siano già state dimostrate; 2) Non abusare mai dell’equivocità dei termini mancando di sostituire mentalmente le definizioni che li restringono e li spiegano. Due regole per il metodo: 1) Trattare le cose, per quanto è possibile, nel loro ordine naturale, cominciando dalle più generali e semplici, e spiegando tutto ciò che perviene alla natura del genere, prima di passare alle specie particolari; 2) Dividere, per quanto è possibile, ogni genere in tutte le sue specie, ogni tutto in tutte le sue parti, ed ogni difficoltà in tutti i suoi casi. Bisogna inoltre definire i nomi e le cose. Nel primo caso la definizione può essere arbitraria, poiché è possibile assumere una parola dall’uso corrente e applicarla ad una idea. Nel secondo caso la definizione non deve essere arbitraria perché deve rispondere alla proprietà dell’oggetto che si vuole designare e che è compresa nell’idea che ne abbiamo. Chiara l’ispirazione cartesiana.

Blaise Pascal


Blaise Pascal (1623 – 1662) fu matematico, fisico, filosofo e teologo francese. Appartenente al giansenismo, di intelligenza precoce e illuminata, rispose alle polemiche avanzate dai teologi dell'università della Sorbona di Parigi contro il proprio ordine con la pubblicazione de Le provinciali. Si impegnò nella stesura di una grande apologia del Cristianesimo, di cui ci sono rimasti solo alcuni appunti pubblicati con il titolo Pensieri. Il Saggio sulle coniche è, invece, il prodotto dei suoi interessi per la geometria pura. Fece studi per la costruzione di una macchina calcolatrice e verificò l’ipotesi di Torricelli sul vuoto. In difesa della teoria del vuoto aveva iniziato a scrivere un Trattato del vuoto, la cui prefazione è di grande importanza perché, oltre a sostenere l’autonomia della ragione in questioni scientifiche, contro il principio d’autorità, valido in ambito teologico, afferma, anche, che i “moderni” hanno superato le conoscenze degli “antichi”, i quali rappresentano l’infanzia della civiltà. Pascal, pertanto, elabora un concetto del tutto nuovo di sapere. Ed infatti, esso non è dato una volta e per sempre, bensì si arricchisce in maniera progressiva e continua con il trascorrere del tempo. Per cui possiamo dire che propriamente antichi, ossia ricchi dell'esperienza dei secoli passati, sono i moderni.
Nei Pensieri viene proposta un’apologia del cristianesimo contro i libertini e gli atei. Il tema centrale di questi appunti è il concetto della dignità dell'uomo. Dignità che si fonda sul fatto di essere un essere pensate. Ciò si evince chiaramente dalle sue parole: “tutta la dignità dell’uomo consiste nel suo pensiero”. Essere debolissimo per natura, più di una canna, egli è tuttavia una canna pensante. L’unico essere ad avere la coscienza di morire. Ma è proprio il pensiero la causa della sua perdizione, del suo orgoglio; la radice della sua superbia che lo porta a ribellarsi contro Dio. E in tale ribellione consiste il peccato di Adamo.
La scienza, dice Pascal, non fa luce sui veri problemi dell’uomo e sul suo destino: l’uomo di fronte all’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo si smarrisce. Anche lo strumento matematico non è capace di esaurire tutta la realtà: esso è espressione dello spirito di geometria, che fonda una scienza astratta che non penetra e scruta i problemi dell’uomo, ma che si limita soltanto a descrivere il reale, a trovarne le leggi che ne regolano i fenomeni. Questi problemi possono essere penetrati solo con la finezza dello spirito. La polemica contro Cartesio è, quindi, la polemica contro una filosofia che vuole spiegare tutto entro principi evidenti e che crede quindi di potere eliminare il mistero che circonda l’uomo. L’uomo, in verità, è come smarrito in un orizzonte infinito, orizzonte che Pascal simboleggia con un cerchio il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo; l’uomo, se segue la superbia della ragione, si perde irrimediabilmente. Pascal propone una nuova apologia il cui tema centrale non è il cercare e trovare la prova dell’esistenza di Dio: “la ragione [infatti] non può decidere nulla”, bensì quello di incentrarsi sull’argomento della scommessa. Si tratta, infatti, di scegliere tra l’affermazione e la negazione di Dio (Dio è o Dio non è). Ora, poiché la ragione non può decidere nulla, si tratta di scommettere. Questa è la posta in gioco: dalla parte dell’affermazione Dio è sta il bene, la felicità, l’infinito; dalla parte dell'affermazione Dio non è sta il finito, il transitorio. Se scommettiamo Dio è, nel caso in cui vinciamo guadagniamo un’eternità di vita e di felicità; se perdiamo non perdiamo nulla di importante. Se invece scommettiamo Dio non è, se vinciamo possiamo guadagnare qualcosa di finito, ma corriamo il rischio, data l’incertezza della scommessa, di perdere l’infinito e l’eterno. Proprio per questo non possiamo rischiare: essendo le due possibilità (Dio è o Dio non è) assolutamente sproporzionate tra loro (finito e infinito), si deve scegliere Dio.
Per Pascal al centro dell'esistenza dell'uomo di ha la figura del Cristo redentore, del messia che sacrifica il proprio sangue per la salvezza dell'umanità. Esemplare a tal riguardo è una frase del nostro studioso: La conoscenza della propria miseria senza quella di Dio genera la disperazione. La conoscenza di Gesù Cristo dà il giusto mezzo perché vi troviamo Dio e la nostra miseria”.

Pierre Gassendi.


Pierre Gassendi (1592 – 1655) si oppose sia al sistema aristotelico (Esercitazioni in forma di paradosso contro gli aristotelici) che a quello cartesiano (Obbiezioni alle meditazioni di Cartesio), difendendo la validità della posizione scettica. Importante è anche il saggio dal titolo Sintagma philosoficum.
Gassendi è dell'opinione che il sapere debba costruirsi su un uso empirico e critico della ragione. A tal ragione si oppone a qualsiasi costruzione metafisica.
Nelle Esercitazioni, contro la dottrina aristotelica – scolastica, contrappone una scienza sperimentale e fenomenica che procede attraverso l’osservazione attenta dei fenomeni naturali e la loro puntuale descrizione, senza pretendere mai di giungere ad un sapere assoluto e definitivo. Notevole è la distinzione che opera, in base ad un preciso criterio gnoseologico, tra tra il sapere metafisico e la scienza sperimentale. Per Gassendi, infatti, l’uomo è nella condizione di conoscere solo quello che è capace di costruire e di fare, e cioè gli oggetti artificiali e i fenomeni (soltanto se riesce a coglierli nel loro formarsi). In altri termini, per Gassendi, l’uomo è capace di conoscere per causas solo quando è capace di costruire l’oggetto o intendere i modi del suo prodursi. Nelle Quinte Obbiezioni alle Meditazioni di Cartesio, alle cui risposte replicherà con le Instantiae, Gassendi si impegna non a confutare le tesi metafisiche che Cartesio voleva dimostrare (esistenza di Dio e immortalità dell’anima), bensì a falsificarne le prove e, quindi, la pretesa di costruire una metafisica come scienza chiara e distinta. Cosa che Gassendi avverte come l’inizio di un nuovo dogmatismo. La critica di Gassendi è radicalmente empiristica. Per egli non si può separare il cogito con la res cogitans perché la sostanza pensante, essendo inconoscibile, è inseparabile. Inoltre non si può nemmeno escludere l’ipotesi di un’unica sostanza che sia nel medesimo tempo pensante ed estesa, infatti per Gassendi si ha una forte connessione tra pensare e sentire. Inoltre, Gassendi denuncia un’incoerenza interna tra cogito e Dio, e richiama Cartesio ad essere coerente nel suo sistema. Incoerenza data dal fatto che Cartesio dovrebbe trovare solo nel cogito il fondamento primo del filosofare. Dal cogito, ergo sum dipende, a sua volta, anche la certezza dell’esistenza di Dio. Inoltre, non è nemmeno accettabile la prova dell’esistenza di Dio come idea innata nell’uomo. Ciò perché per Gassendi tutte le idee hanno un’origine sensibile, e la stessa idea di Dio come essere eterno, infinito, creatore, onnipotente non è altro che il frutto di un processo storico, che ha portato a tale idea di Dio grazie ad un processo di astrazioni e di negazioni del finito. Per Gassendi non è valida nemmeno la seconda prova che pone Dio come causa dell’esistenza del Cogito. Questa prova trova le proprie origini da un principio aristotelico secondo il quale, non potendo retrocedere all’infinito nella ricerca delle cause, bisogna porre una causa priva. Ma nelle scienze naturali è possibile una ricerca di cause all’infinito. Infine nemmeno la terza prova ontologica di Dio è sostenibile, infatti l’esistenza non è una perfezione tra le altre, ma è il fondamento stesso di tutte le perfezione. La posizione di Gassendi non si ferma allo scetticismo, ma riesce a superarla, infatti nella De vita et moribus Epicurei, nell’Animadversiones in X librum Diogeniis Laertii, e nel Sintagma philosophicum, Gassenti accetta come alternativa valida alla filosofia aristotelica, la speculazione democritea – epicurea. Questa, infatti, legando la conoscenza alla sensazione, ponendo fine, con la concezione atomistica, alla ricerca delle qualità e essenze occulte, riducendo tutto al mondo dell’esperienza (ove le qualità reali sono grandezza, figura, peso, ponendo invece come secondarie e soggettive le altre), sembrava l’unica dottrina capace di dare una spiegazione meccanicistica della realtà. Il radicale empirismo di Gassendi comporta la costruzione di una filosofia sempre limitata al fenomenico, al descrittivo, alla ricerca di nessi orizzontali di cause, rinunciando alla ricerca delle cause ultime e dei principi primi. La scienza non trova più il suoi grado di dignità nella purezza e immutabilità dell’oggetto conosciuto, bensì nel grado di certezza che si è capaci di raggiungere. la metafisica può esserci come cauta estensione della conoscenza umana oltre il fenomenico. Ma la metafisica non incide in nulla i principi fisici, infatti atomismo e flos materiae spiegano a sufficienza i fenomeni vitali senza fare bisogno ad un’anima creata da Dio, inoltre l’etica democriteo – epicurea non va contro la cristiana, ma fonda un comportamento autosufficiente dell’uomo.

Filosofi dell’età cartesiana


La storia del cartesianesimo fu molto ricca e complessa, anche perché si cercò di risolvere la questione riguardante il rapporto tra la res cogitans e la rex extensa.
La fisica cartesiana aveva eliminato del tutto le forme dell'ormai vetusta filosofia scolastica e riduceva lo studio e la descrizione della realtà ad un sistema geometrico, dove gli unici elementi considerati erano l'estensione e il movimento. Ciò, ovviamente, permetteva la costruzione di una fisica del tutto indipendente da qualsiasi visione metafisica. È pur vero che Cartesio fondava la propria concezione fisica su una precisa visione metafisica, che dava credito alla ricca tradizione dello spiritualismo cristiano.
Come già accennato, una delle questioni più discusse fu quella riguardante il rapporto intercorrente tra la res cogitans e la res extensa. Problemi dati dal fatto che le due sostanze, caratterizzate da una diversità apparentemente inconciliabile, sembravano non poter entrare in relazione tra di loro mediante la ghiandola pineale. Questa infatti appariva inadatta a instaurare un rapporto di causalità tra le due sostanze, ossia non si riusciva a capire come l'anima potesse causare il moto degli arti, e, viceversa, come il corpo potesse causare la nascita di passioni.
La corrente occasionalista nega tale reciproca causalità. I maggiori esponenti di questo movimento filosofico furono Arnold Geulincx e Nicolas Malebranche. Arnold Geulincx (1624 – 1669), scrisse la Metafisica vera, la Metafisica ad mentem peripateticam, l’Etica.
Per entrambi gli studiosi il corpo non può agire sull'anima e viceversa. Noi ci possiamo limitare soltanto ad osservare la concomitanza di modificazione dell'anima e del corpo. Ci rimane, però, inspiegabile la vera realtà delle cose e la causalità tra anima e corpo.
L'unica spiegazione che ci è lecita dare è quella del continuo intervento di Dio, che fa corrispondere ad una modificazione dell'anima un'altrettanta modificazione del corpo. Ciò significa che le modificazioni dell’uno sono occasione perché Dio causi le modificazioni nell’altro. Si può avanzare anche un'altra spiegazione, e cioè si può immaginare che Dio abbia stabilito una corrispondenza tra anima – corpo una volta e per sempre, come se presi due orologi, li avesse accordati in maniera tale da fargli segnare sempre le ore corrispondenti.
Di Nicolas Malebranche (1638 – 1715), abbiamo la Ricerca della verità e i Colloqui sulla metafisica e sulla religione.
Egli fu assertore di un ferreo occasionalismo, ed infatti nega che nel mondo possano esistere delle vere cause, perché, a suo dire, gli esseri viventi non sono capaci di modificarsi reciprocamente. Inoltre nemmeno all'interno di una delle due sostanze vi sono delle vere cause. L'unica vera causa è Dio, che, per esempio, in occasione dell'urto mette in moto una palla da biliardo quando viene colpita da un’altra palla. Le stesse leggi della fisica e del movimento sono create e conservate continuamente da Dio1.
Stessa cosa vale per le nostre idee, che non nascono dall'osservazione di una realtà esterna, bensì dalla rivelazione di Dio che ci permette di vederle in Lui, secondo un processo di illuminazione già chiaramente espresso dal filosofo Sant'Agostino.
1Concezione della creazione continua.

Cartesio


Cartesio nasce il 31 Marzo 1596 in Turenna. La sua prima opera risale al 31 Dicembre 1619, quando offre all’amico Beeckam il Compendium musicae. Di fondamentale importanza per la sua futura produzione sono tre sogni rivelatori di una scienza mirabile, che compie tra il 10 – 11 Novembre del 1619, dopo un breve soggiorno in Danimarca e Francoforte. Del 1627 – 1628 è la stesura delle Regulae ad durectionem ingenii e, molto probabilmente, della Ricerca della verità. Nel 1630 inizia il Mondo, che a seguito della condanna di Galilei, lascia incompiuto. Del 1637 è il Discorso sul metodo con i Saggi (Diottrica, Meteore e Geometria); del 1641 sono le Meditationes de prima philosophia; del 1644 è il Principia philosophiae e, infine, del 1649 sono Le passioni dell’anima. Cartesio muore a Stoccolma l’11 Febbraio 1650.
Il 10 Novembre del 1619 è una data di notevole importanza nella vita intellettuale di Cartesio; ed, infatti, è in questo giorno che ha una rivoluzionaria intuizione che lo porterà a concepire, non solo la costruzione di tutta la geometria con un unico metodo, ma anche di tutto quanto il sapere secondo catene di ragioni che hanno la stessa struttura del metodo matematico.
Si fa ben chiara nella mente di Cartesio la possibilità di costruire un nuovo sapere tramite un rinnovamento culturale. Un primo segnale in tal senso si ha nelle Regole per la guida dell’intelligenza (tra il 1627-1628), le cui dottrine verranno in seguito sviluppate nel Discorso sul metodo. Nelle regole si focalizza l'attenzione sul valore primario dell’evidenza, il cui corollario è che “ogni scienza è conoscenza certa ed evidente”.
L’evidenza si raggiunge per mezzo dell’intuito, atto con cui si coglie la realtà, e a cui segue la deduzione. Dall'intuito si genera il concetto che esclude ogni dubbio perché è caratterizzato dall'evidenza. All’intuito o evidenza in atto si aggiunge la deduzione, e cioè la connessione tra le nature semplici, ovvero tra le conoscenze intuitive, tutte chiare e distinte. Nelle Regole altro principio di fondamentale importanza è l’enumerazione ordinata. L'unione di queste regole costituisce il metodo. A riguardo del metodo Cartesio scrive: “Per metodo intendo delle regole certe e facili osservando le quali fedelmente non si supporrà mai come vero ciò che è falso, e senza inutili sforzi da parte della mente, ma con graduale continuo progresso della scienza, si perverrà alla vera conoscenza di tutte le cose di cui si è capaci”.
La Dottrina sul metodo è l'opera che segna una frattura netta con la cultura accademica precedente e che avrà tanta importanza nell'affermazione della nuova concezione di scienza. È la prima opera del nostro studioso pubblicata in lingua francese ed in forma anonima. L'argomento del saggio è chiarito dallo stesso Cartesio:
Se questo discorso sembra troppo lungo per essere letto tutto in una volta, lo si potrà dividere in sei parti. E si troveranno, nella prima, diverse considerazioni sulle scienze. Nella seconda, le principali regole del metodo che l’autore ha cercato. Nella terza, qualche regola della morale ch’egli ha tratto da questo metodo. Nella quarta, gli argomenti con i quali prova l’esistenza di Dio e dell’anima dell’uomo, che sono i fondamenti della sua metafisica. Nella quinta, la serie delle questioni di fisica che ha esaminato, in particolare la spiegazione del movimento del cuore e di qualche altra difficoltà della medicina e, ancora, la differenza tra l’anima nostra e quella dei bruti. Nell’ultima, le cose ch’egli crede siano richieste per andare avanti nello studio della natura più di quanto si è fatto, e i motivi che lo hanno indotto a scrivere”.
Nel Metodo viene chiarita la natura delle verità eterne, che insieme alle verità matematiche, sono sancite da Dio, il quale le avrebbe potuto creare in maniera diversa. Cartesio afferma che queste verità sono in noi innate perché impresse nelle menti da Dio che le ha create.
Cartesio preferì non pubblicare Il Trattato della luce o il Mondo a seguito della condanna di Galilei, in quanto anch’egli era sostenitore della teoria eliocentrica, anzi Cartesio afferma che se tale teoria risultasse falsa cadrebbe tutto il suo sistema filosofico.
Gli argomenti portanti del Mondo e del trattato L'uomo, che al Mondo seguiva, sono ormai così chiaramente definiti da tornare con insistenza in tutte le sue opere posteriori.
Cartesio rifiuta la validità e la veridicità della concezione fisica aristotelico – tolemaica per presentare un nuovo sistema fisico, che finge di immaginare ipotetico per non cadere nella censura ecclesiastica. Tale sistema ipotetico viene tracciato nel trattato Il Mondo, in cui Cartesio afferma di far finta che Dio abbia creato una materia senza nessuna delle qualità tradizionali aristoteliche, bensì come pura estensione. Alla materia Dio ha dotato il movimento. Questo è retto da tre leggi che il nostro filosofo dice di intuire dall’idea dell’immutabilità divina. Esse sono:
  1. ogni parte della materia conserva sempre lo stesso stato fino a quando le altre urtandola non la costringono a cambiarlo;
  2. quando un corpo ne spinge un altro non può trasmettere o sottrarre a esso alcun movimento senza perderne o acquistarne nello stesso tempo una certa quantità;
  3. quando un corpo si muove tende sempre a continuare il suo movimento in linea retta.
Cartesio è, pertanto, il primo scienziato ad aver enunciato in maniera chiara la legge di inerzia. Inoltre, viene chiarito un aspetto fondamentale del movimento, ossia che esso è uno stato, e non una qualità o un processo.
Cartesio, inoltre, afferma come sia possibile la costituzione di un cosmo identico al nostro senza il bisogno di ricorrere all'azione creatrice di Dio. Bisogna, invece, ricorrere al solo movimento, che, mediante le leggi meccaniche che lo regolano, separa la primordiale materia uniforme nei tre elementi fondamentali di fuoco, aria e terra, la cui diversità è data solo dal numero e dal movimento delle particelle di materia. Appare, pertanto, chiara la negazione della tradizionale distinzione tra fisica celeste e terrestre; anzi, viene affermato che unica ed uguale è la materia che costituisce i cieli e la terra, che identiche sono le leggi di movimento per tutti i corpi e che il Sole è al centro del sistema e tutti gli altri pianeti vi girano attorno.
Al trattato del Mondo segue quello dell’Uomo. Qui viene affermato che l'uomo, essendo simile ad una macchina, soggiace, nelle sue funzioni vitali, alle stesse regole meccaniche che reggono una macchina, come per esempio un orologio o un automa. I nervi dell’uomo e degli animali vengono visti come condotti o tubi delle macchine idrauliche. Lo stimolo sensibile giunge al cervello mediante dei filamenti. Questi filamenti operano come se fossero dei tiranti, che all'occorrenza aprono alcuni pori del cervello per fare passare gli spiriti fatti di materia sottilissima. Questi spiriti raggiungono i nervi (del tutto simili ai tubi delle macchine) e provocano meccanicamente il movimento dei muscoli. Al centro del cervello si ha una ghiandola (ghiandola pineale o conarium). In tale ghiandola giungono, dai sensi esterni, gli stimoli degli oggetti, che si imprimono in essa. La ghiandola diviene sede dell’immaginazione e del senso comune. Dalla ghiandola attraverso altri tubi escono gli spiriti che provocano il meccanico movimento dei muscoli. L’anima razionale si aggiunge all’uomo – macchina per portarvi il pensiero e il conarium diviene luogo di incontro tra due realtà assolutamente diverse: res cogitans (spirito) e res extensa (materia).
Nel Discorso sul metodo Cartesio definisce il metodo per giungere alla conoscenza di tutte le cose. Tale metodo viene riassunto in quattro regole o precetti fondamentali:
  1. evidenza: “non accogliere mai come vera nessuna cosa che non conoscessi con evidenza essere tale […] e non includere nei miei giudizi nulla di più di quello che si presentava così chiaramente e distintamente al mio spirito da escludere ogni possibilità di dubbio;
  2. analisi: “dividere ognuna delle difficoltà che io esaminassi in tante particelle quante fosse possibile e richiesto per meglio risolverle”;
  3. sintesi: “condurre per ordine i miei pensieri cominciando dagli oggetti più semplici e più facili a conoscere per ascendere a poco a poco come per gradi alla conoscenza dei più composti;
  4. enumerazione: “fare dappertutto delle enumerazioni così complete e delle revisioni così generali da essere certo di nulla omettere”.
Nel definire il metodo Cartesio assume come paradigma il metodo matematico, che non utilizza a risoluzione delle singole parti delle matematiche, bensì a procedimento di studio dei rapporti o proporzioni in generale. È da dire che la cultura classica medievale distingueva matematiche pure (aritmetica e geometria) e matematiche miste o applicate (astronomia, musica, ottica). Cartesio vuole, invece, superare tale divisione e prospettare un’unica matematica universale che si occupi solo dei rapporti e delle proporzioni in generale.
In tal senso va spiegato il suo intento di eliminare la distinzione tra aritmetica e geometria mediante l’invenzione degli assi, dove i numeri vengono espresse in grandezze, ossia in linee. Inoltre sostituisce ai numeri le lettere (a, b,c, …) per indicare le grandezze note; x, y, z per indicare le grandezze ignote. Per indicare gli esponenti anziché delle lettere usa i numeri.
La costruzione di una nuova filosofia può, però, portare ad una crisi della morale. Ciò perché la caduta del vecchio sistema fisico può indurre ad una svalutazione dei tradizionali codici comportamentali ed etici. Per evitare che la crisi del vecchio pensiero porti ad una crisi morale Cartesio sviluppa nella terza parte del Discorso una morale provvisoria. Le regole di essa sono tre:
  1. obbedienza alle leggi e costumi del paese di appartenenza, osservanza della religione appresa nel proprio stato sin da piccoli, adesione alle idee moderate del paese in cui si vive;
  2. essere sicuri delle proprie azioni: una volta che si è presa una decisione, bisogna seguirla e portarla a termine con fermezza;
  3. cercare di capire i propri limiti piuttosto che cercare di vincere la fortuna: bisogna esser pronti a cambiare le proprie decisioni se esse non ci portano ad alcunché di positivo. Ciò perché non c'è nulla che è assolutamente in nostro potere se non il nostro pensiero.
Il solo fondamento valido e necessario per ricostruire il sapere è il dubbio metodico. Per distruggere e disfarsi del vecchio sapere tradizionale Cartesio non sceglie di analizzare le singole scienze, perché l'impresa sarebbe stata al di là delle capacità umane, bensì di applicare la prima delle sue regole del metodo e cioè quella dell’evidenza, così da considerare falso tutto quello di cui si potesse avere il minimo dubbio. Cartesio, quindi, passa all’analisi degli strumenti della nostra conoscenza per vedere quali di essi non sono idonei a farci produrre una conoscenza vera. Per quanto riguarda i sensi Cartesio afferma che non è necessario fare dei lunghi discorsi, infatti già il fatto che ci ingannano solo alcune volte significa che non ci si può fare totale affidamento. È da aggiungere anche che i sogni si manifestano a volte con una tale forza che ce li fa sembrare reali, per poi invece manifestarsi nella loro fallacia. Quindi, tutto il mondo reale potrebbe scomparire come un sogno. Inoltre, nessuno ci assicura che la realtà fuori di noi esista realmente.
Le uniche realtà inconfutabili ed innegabili sono, agli occhi di Cartesio, quelle matematiche, ed infatti 2 + 3 fa sempre cinque, e ciò al di là del fatto di essere svegli o dormienti.
Si potrebbe, però, avanzare l'ipotesi più estrema: può darsi che Dio ci abbia ingannato non solo dandoci delle immagini di una realtà non esistente, ma, anche, dandoci delle verità che a noi sembrano evidenti ed immediate. Cartesio si rende conto, però, che tale dubbio è troppo radicale, e, pertanto, dopo averlo accantonato, sostituisce alla teoria del Dio ingannatore quella del genio maligno.
Ora, anche se il genio maligno può ingannarmi circa il mondo possibile, non può in alcun modo impedirmi di sospendere il mio assenso alle realtà sensibili. La sospensione del giudizio mi mette nella condizione del dubbio metodico e mi porta a mettere in crisi tutte quelle conoscenze che sono prive di evidenza, per accettare, invece, quelli che si presentano in maniera chiara ed evidente. Inoltre, la condizione del dubbio mi induce alla conoscenza, detta da Cartesio “prima e certissima”, del “cogito, ergo sum” (penso, quindi esisto). Ed infatti, pur accettando il fatto che io venga ingannato di continuo credendo che esista una realtà fuori di me, rimane comunque evidente il fatto che se vengo ingannato esisto; se ho pensieri, anche falsi, io esisto. Ed infatti, non è possibile che io che penso non sia qualcosa. Quindi, io che penso esisto.
Cartesio afferma che il “Cogito, ergo sum” non è il risultato finale di un processo ragionativo, bensì il frutto di un'intuizione certa ed evidente che elimina il dubbio circa la mia esistenza, ma non quello della possibile falsità del mondo sensibile e del mio corpo.
La res cogitans (la sostanza pensante) è “una sostanza di cui tutta l’essenza o natura non è che pensare”. Il pensiero, quindi, non è un attributo della sostanza pensante, ma l'essenza stessa della sostanza. Ora, poiché essere e pensare coincidono, allora tutte le cose che noi concepiamo in maniera chiara e distinta sono vere.
L'intuizione del cogito, quindi, ci induce ad una prima verità indubitabile, e cioè quella della nostra esistenza. Verità questa che ci permette di uscire dalla sfera del cogito per analizzare quelle verità che ci appaiono certe ed evidenti, necessarie ed indubitabili.
Cartesio distingue tre tipi di idee: le idee innate, le idee avventizie (da adventitiae, che sembrano venir dal di fuori) e le idee factitiae, “ovvero fatte e inventate da me stesso”.
L'idea dell'esistenza di una realtà esterna è un'idea avventizia che non può essere considerata certa. Rimane, infatti, sempre possibile l'inganno del genio maligno e del sogno, che ci può far credere all'esistenza di una realtà esterna a me. Inoltre, le suddette idee potrebbero essere fatte ed inventate da noi stessi, alla stessa maniera delle idee fittizie. Non tutte le idee sono però dubitabili e appartenenti a queste due categorie. Vi è infatti in noi anche l’idea innata: essa è l’idea di Dio come essere eterno, infinito, immutabile, onnisciente, onnipotente e creatore. A questa prima prova dell’esistenza di Dio se ne aggiunge una seconda che parte dal principio di causalità: potrei io, che ho l’idea di Dio, esistere se Dio non esistesse? Ora se io fossi causa di me stesso certamente mi sarei dato tutte quelle perfezioni che trovo nell’idea di Dio, cioè mi sarei creato perfetto. Non solo io non mi sono creato da me stesso ma non neppure in grado di conservare me stesso. Per Cartesio infatti il tempo è una successione di istanti non legati tra loro, per cui se ora sono non è detto che lo sono stato o che lo sarò. In altre parole conservazione e creazione in Cartesio coincidono. Si coglie quindi la principale caratteristica di Dio, quella di essere causa sui. A queste due prove Cartesio aggiunge una prova anselmiana, detta da Kant ontologica, secondo la quale l’essere assolutamente perfetto deve esistere per necessità, infatti alla perfezione non può mancare l’esistenza, attributo di somma perfezione. L’esistenza di Dio come idea innata permette di potere recuperare la realtà esterna. L’idea di un Dio non ingannatore, infatti, ci induce a credere che quelle idee delle cose materiali derivano effettivamente da esse; se, infatti, non avessero corrispondenza alla realtà extramentale, Dio sarebbe ingannatore. Recuperata la realtà, noi di essa possiamo conoscere l’estensione e il movimento, cioè le sole cose che noi distinguiamo chiaramente e distintamente. Non possiamo avere certezza di ciò che non è oggetto di dimostrazione geometrica, come calore, colore, sapore ecc. che ci rimangono sempre non chiari e confusi. Dato che la realtà si conosce distintamente e chiaramente solo con la geometria, allora è possibile costruire una fisica a priori deduttiva, ove i suoi principi saranno le idee innate come l’idea di Dio, le verità matematiche e le leggi fisiche dedotte dall’idea di Dio. Attraverso l’idea di un Dio non ingannatore Cartesio riesce a recuperare l’esistenza della materia, della sostanza estesa, di cui aveva finora solo l’idea. Ora, mentre la materia è divisibile all’infinito ed estesa, la res cogitans è inestesa è indivisibile. Noi abbiamo una conoscenza chiara e distinta delle due sostanze e della loro separatezza. Ora “tutte le cose che noi concepiamo chiaramente e distintamente sono come le pensiamo”. Secondo tale metodo per Cartesio non c’è dubbio che le due sostanze siano separate tra loro e che quindi l’anima sia immateriale e spirituale, cosa che prova la sua natura immortale. Nell’uomo - macchina la comunicazione tra queste due sostanze avviene grazie alla ghiandola pineale, e non tramite tutto il cervello o il cuore. È questa ghiandola che dirige i flussi degli spiriti attraversanti i tubi o canali. Le passioni sono movimenti dell’anima, e per sé stessi sono sempre buone, ma divengono dannosi se se ne fa un uso spropositato ed eccessivo.
Cartesio metaforizza la filosofia con l'immagine di un grande albero, le cui radici sono la Metafisica, il tronco la fisica, i rami la meccanica, la medicina e la morale. Della morale e della medicina si occupa negli ultimi anni della sua vita.
Se l’errore delle conoscenze non nasce da un Dio ingannatore. Allora, da dove nasce? L’errore, che per Cartesio è sempre un errore di giudizio, non è dato né da Dio né dall’intelletto, il quale coglie con chiarezza e distinzione le idee e non dà giudizi. L’intelletto è quindi finito e limitato. L’errore nasce pertanto dalla volontà, infinita e illimitata, che spesso da giudizi senza avere le idee chiare e distinte. In altre parole l’errore nasce da un uso eccessivo della volontà, che non volendo seguire l’intelletto, la supera e si smarrisce. Ogni errore è sempre un errore di volontà.