sabato 16 giugno 2012

Illuminismo francese, Le Mettrie, Helvetius, Diderot, Condillac, D’Holbach


Per la definizione dell’Illuminismo si è fatto più volte riferimento ad uno scritto di Kant, Che cos’è l’Illuminismo? In tale definizione è posto l’accento sull’identificazione dell’Illuminismo con l’autonomo e coraggioso uso della ragione, che rappresenta l’uscita per gli uomini dallo stato di minorità e di sudditanza rispetto all’autorità e alla tradizione, quindi la liberazione dai pregiudizi e la conquista della libertà. Per l’illuminismo, la ragione è lo strumento più efficace per liberare gli uomini – tutti gli uomini in quanto tutti ugualmente capaci di ragione – dagli errori e dai pregiudizi che si vedono incarnati dalle istituzioni tradizionali (la scuola, gli Stati, le Chiese). Il centro del movimento illuminista è rappresentato dalla cultura francese del ‘700, anche se la cultura inglese con Locke e Newton ha avuto un ruolo grande nella formazione di tale movimento. Gli intellettuali francesi, seppur sviluppano interessi di ricerca diversi, convergono in alcuni temi di fondo che culmineranno nella pubblicazione dell’Enciclopedia, destinata a divenire il punto di incontro di molti intellettuali illuministi ed emblema dell’intero movimento.
Le Mettrie (1709-1751) entra in polemica contro ogni forma di speculazione spiritualistica e religiosa, e svolge una concezione radicalmente materialistica. Centrale nella sua speculazione è la materia concepita non solo come estensione, ma anche come sostanza attiva, dotata cioè della facoltà di muoversi e di sentire. Dalla capacità di sentire deriverebbe il pensiero. Da ciò una concezione prettamente meccanicistica della materia o della natura, da lui concepita come una realtà eterna in perpetua trasformazione, dove le forme si succedono continuamente. Al vertice di questo processo evolutivo, afferma nel “L’Uomo macchina”, si pongono le macchine più complesse come gli animali e gli uomini. Il meccanismo nervoso è la struttura portante sia dei processi sensitivi che di quelli intellettuali, per cui non ha senso parlare di un’anima al di fuori dell’organizzazione del corpo. Gli organi di senso, passivi rispetto agli impulsi esterni, percepiscono la realtà attraverso la modificazione dell’apparato nervoso. Da ciò nascono la sensazione, la memoria, le inclinazioni e i caratteri. Dalla maggiore o minore forza deriva la maggiore o minore chiarezza di un’idea sempre legata all’esperienza sensibile. Anche lui, come Locke, distingue idee semplici e idee complesse, quest’ultime derivate dalle prime. Egli, però, afferma che non possiamo mai conoscere con assoluta esattezza le cose della realtà esterna, e neppure avere sicurezza delle qualità primarie (estensione, movimento), in quanto queste vengono recepite dai nostri sensi e con altri sensi avremmo idee differenti delle stesse qualità. L’orizzonte delle nostre conoscenze è quello delle nostre sensazioni: il nostro pensiero si ferma pertanto alle apparenze sensibili come sono percepite dal soggetto senziente. Le Mattrie afferma, inoltre, che gli organi di senso ci sono dati più per l’autoconservazione che per la conoscenza delle cose esterne, ciò non vuole dire che i nostri sensi siano erronei di per sé. L'errore, infatti, nasce solo quando giudichiamo troppo in fretta, cioè quando operiamo giudizi che escono dall’orizzonte delle nostre modificazioni sensoriali. Le Mattrie non riesce, però, a dare alcuna spiegazione di come la materia possa sentire e pensare, ma riconduce le passioni a modificazioni indotte nel sistema nervoso dagli oggetti esterni: di fronte a certe idee o dolore si genera l’amore o dolore, e da qui piacere o odio. L’uomo dunque, al pari degli altri esseri, è una macchina; con la sola differenza che essa è più complessa in quanto ha un sistema nervoso più complesso e un cervello più grosso. Ma non vi è bisogno di ricorrere a Dio per spiegare la sua origine: egli nasce per caso e vive e muore come i funghi e i fiori. Anche la natura ha in sé, e non in altro, la spiegazione del suo esistere.
Helvetius (1715-1771) scrisse un’opera capitale per l’illuminismo: Lo spirito (1758). Lo spirito è per l’autore la facoltà sensitiva che riceve impressioni prodotte in noi dagli oggetti esterni. Queste impressioni vengono conservate nella memoria. Ora, sensazioni e memoria sono le uniche due cause produttrici dei nostri pensieri. Se l’uomo ha capacità più raffinate rispetto agli animali, questo è dovuto alla migliore organizzazione degli organi corporei. Dalle sensazioni e dalle parole per indicare gli oggetti sentiti nasce anche il mondo dei valori morali. Helvetius vuole costruire una morale utile, secondo principi certi come quelli della fisica sperimentale. Lo studio si muove dalle passioni. Di esse solo due sono fondamentali, e cioè il piacere e il dolore: questi due sono i soli motori del mondo morale. Dagli interessi privati nasce un interesse generale per tutelare meglio la conservazione della vita e dei beni, rinunciando alla forza e stipulando delle convenzioni; in base a queste convenzioni si sono costituite le idee di giusto e ingiusto.
Diderot (1713-1784) nei suoi Pensieri Filosofici, in polemica con gli esiti estremi dell’ateismo e contro le varie forme di superstizione che avevano inquinato le religioni storiche, difende i temi di una religione naturale fondata sulla ragione; nel fare ciò però egli nega la necessità della rivelazione, l’ispirazione della Sacra Scrittura, i miracoli e allinea tutte le religioni all’interno di una medesima fenomenologia. In seguito fa propria l’idea (nell’Interpretazione della natura) di una originaria materia dotata di movimento e capace di spiegare, per il suo interno dinamismo, la formazione di tutti gli esseri, compreso l’uomo che ha origini e destini non diversi da tutti gli altri esseri. Diderot afferma, comunque, che l’uomo ha una posizione differente dall’animale e non si differisce da esso per il solo fatto che combina le idee. A proposito del senso della vita scrive: Cos’è un essere? La somma di un certo numero di tendenze. Le specie non sono che tendenze, verso un termine comune che è loro proprio. E la vita? La vita, un seguito di azioni e reazioni. Da vivo agisco e reagisco in massa…da morto agisco e reagisco in molecole…dunque non muoio? No senza dubbio, in questo senso non muoio affatto né io né chicchessia…nascere, vivere e trapassare è cambiare forme”.
Condillac (1714-1780) avvia un discorso dove si ha la totale riduzione alle sensazioni di ogni attività psichica e conoscitiva. Nel suo Saggio sull’origine delle conoscenze umane e nel Trattato delle sensazioni Condillac critica la distinzione lockiana tra sensazioni e riflessione come fonti distinte delle idee, riducendo alla sola sensazione l’origine delle nostre idee e intendendo la riflessione non come sorgente delle idee, ma come canale per cui queste derivano dai sensi. Per spiegare il costituirsi della conoscenza e dei comportamenti nell’uomo, Condillac fa l’uso del paragone dell’uomo con una statua. A questa statua Condillac ipotizza di dare uno ad uno, in successione, i cinque sensi (odorato, udito, gusto, vista, tatto), per poi studiare come dal progressivo ampliamento delle esperienze sensibili nascano nella statua “il giudizio, la riflessione, i desideri, le passioni” che sono “la sensazione stessa che si trasforma diversamente”. Funzione prioritaria nell’attività della statua svolgono le sensazioni di piacere e di dolore, esse fanno nascere i desideri, le abitudini e le inclinazioni di ogni sorta. In altre parole, alla base di tutti i processi psicologici e conoscitivi vi è una dinamica emotiva e passionale. Ora, mentre i primi quattro sensi (odorato, udito, gusto, vista) non permettono di uscire dall’orizzonte della propria interiorità, perché con essi i corpi non sono percepiti come esterni. La statua, infatti, percepisce solo le proprie modificazioni, le “modificazioni dell’anima”. Il tatto, invece, si viene a configurare come il più importante di tutti i sensi, ed infatti ci porta a giudicare che vi sono fuori di noi delle realtà vicine le une alle altre. La statua scopre, in tal modo, i corpi estesi, ai quali vengono attribuite le qualità percepite dagli sensi. È così il soggetto prende conoscenza del proprio corpo e dei corpi esterni. Divenuto capace di esercitare tutti i sensi, il soggetto, spinto dalla necessità di provvedere alla propria conservazione, da senziente diviene attento e riflessivo: nella memoria ripone le sensazioni passate; quindi, facendo attenzione alle sensazioni passate e presenti, le paragona tra loro formulando giudizi: “In tal modo la sensazione diviene successivamente attenzione, comparazione, giudizio”. Tutta la nostra conoscenza ha origine diretta dalla sensazione e da essa si formano le idee, distinte in semplici e intellettuali. Le semplici sono quelle che agiscono attualmente sui sensi. Le intellettuali sono quelle che abbiamo dopo che l’oggetto rappresentato non è più innanzi a noi, ma che ha lasciato, in noi, la sua impressione. Dal susseguirsi delle sensazioni e dai bisogni nasce il linguaggio, dapprima gestuale e poi articolato. Nel Trattato sui sistemi critica ogni pretesa metafisica.
D’Holbach (1723-1789), collaboratore dell’Enciclopedia, scrive il Cristianesimo svelato, L’abate e il rabbino, Il contagio sacro, David, Storia di Gesù, ove svolge una critica radicale delle tradizioni religiose, ridotte ad impostura che assoggetta i popoli a inutili paure ultraterrene per tenerli schiavi del potere politico; inoltre nelle Lettre a Eugenia, critica radicalmente la Bibbia e il sistema cristiano. Nel 1770 esce la sua opera più importante: Il sistema della natura, poi Il buon senso, la Politica naturale e il Sistema sociale. La sua concezione della realtà è radicalmente materialistica, egli afferma che natura è materia e movimento, in una perenne successione di cause ed effetti secondo leggi inflessibili. Tutto è materia e movimento: inutile chiedersi l’origine dell’una o dell’altra; la materia è sempre esistita, il movimento gli appartiene dall’eternità; gli eventi sono un concatenarsi necessario di moti diversi e successivi. L’anima non è altro che il corpo stesso considerato relativamente a talune sue funzioni. Il sentire è fonte di ogni conoscenza, e da essa nasce la memoria, l’immaginazione. Queste due nell’uomo si chiamano facoltà intellettuali. Quest’ultima è la ragione, ovvero la natura modificata dall’esperienza. Scopo dell’uomo è quello di conservare se stesso, a tale scopo intreccia rapporti con gli altri. Virtù e vizio non sono valori astratti ed eterni, ma nascono da dai concreti rapporti umani. Infine, la politica è “l’arte di dirigere le passioni degli uomini verso il bene della società”. Quindi, si ha una morale umana fondata sulla natura dell’uomo, sull’esperienza e sulla ragione. Questa morale avrà come suo compito la ricerca della felicità, cioè del benessere individuale e collettivo. Virtù è ciò che aiuta al raggiungimento di tale benessere, il vizio è invece quanto nuoce a tale felicità.

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