martedì 29 maggio 2012

Nascita della filosofia in Grecia


La filosofia è un parto prettamente greco. Cosa abbia favorito la sua genesi è uno degli interrogativi più stimolanti.
Com'è stato possibile che un popolo di agricoltori e di allevatori abbia fondato una disciplina, quale quella filosofica, è per me una delle questioni più intellettivamente eccitante.
Nessun popolo antico ha sviluppato un fenomeno culturale nei termini greci, e cioè una scienza filosofica basata sul puro logos, sulla pura ragione come strumento d'indagine. È certamente vero che anche altre civiltà possedevano una forma di sapienza, ma questa era fondamentalmente religiosa, intrisa di miti teologici e cosmogonici.
Uno dei motivi che ha permesso la genesi di un pensiero laico è la costituzione dell'antico popolo greco in città–stato – le cosiddette polis, per intenderci -. Queste venivano amministrate con un sistema democratico; al contrario degli altri popoli che, organizzatisi in regni, avevano a capo un re, che univa, al contempo, la funzione amministrativa a quella religiosa. Basta pensare agli Egizi con il loro imperatore, che, oltre alla funzione di governatore assoluto, svolgeva anche quella di sommo sacerdote. In un tale contesto era molto difficile che potesse nascere una disciplina che volutamente indagasse della natura con i soli strumenti del ferreo ragionamento.
Quasi tutte le antiche civiltà, tranne quella greca, erano organizzate in un sistema dove il politico e il religioso erano strettamente legati. Questo innesto ha fatto sì che le antiche culture elaborassero un pensiero intriso di elementi mistici e numinosi. Al contrario, i Greci erano svincolati dal sinolo politica-religione, e, a onor del vero, non possedevano nemmeno dei libri sacri o ritenuti frutto di una rivelazione divina. Di conseguenza lo sviluppo del loro pensiero non venne limitato da precetti fissi ed immodificabili. Potremmo dire che non trovò quegli ostacoli che si sarebbero incontrati nei paesi orientali, dove l'esistenza di dogmi e di sacerdoti addetti a custodirli avrebbe contrapposto resistenza e restrizioni.
Prima dell'avvento della filosofia, i greci ebbero come educatori e formatori spirituali i poeti. Questi assunsero presso di loro una grandissima importanza; molto di più rispetto ad altre civiltà, e costituirono il veicolo di diffusione delle loro credenze.
In tal senso, un'importanza fondamentale svolsero i poemi omerici, ossia l'Iliade e l'Odissea, che ebbero un influsso analogo a quello della Bibbia presso gli ebrei. Ciò perché ai Greci mancavano, come già detto, dei veri e propri testi sacri.
Ora, i poemi omerici sono caratterizzati da alcuni elementi che si ritroveranno nello sviluppo del pensiero filosofico. In primis, queste due opere non cedono mai all'eccessivo, nel senso che, pur ricorrendo ad immagini mostruose, sono caratterizzate da un sistema fantastico che conserva un senso di armonia, proporzione e limite. Cose queste che ritroveremo nella filosofia non come accidenti, ma, addirittura, come elementi fondanti ed ontologici. Inoltre, Omero presenta la realtà nella sua totalità ed interezza. E, come sappiamo, la filosofia, cerca, sin dalle sue origini, di dare una spiegazione risolutiva di tutto il cosmo. Infine, l'Iliade e l'Odissea non raccontano solo vicende, ma ne danno anche le motivazioni. In altre parole, ne spiegano anche le cause e le ragioni. E questo modo di procedere lo ritroviamo in filosofia, dove si ricerca la ragione, la causa, il perché delle cose.
Importanza fondamentale ebbe anche il poeta Esiodo, autore di una Teogonia – che sintetizza tutto il materiale preesistente su tale argomento – e di un altro poema, dal titolo Le opere e i giorni, in cui la giustizia viene esaltata come bene supremo. Ricordiamoci che la giustizia diverrà concetto ontologico, oltre che etico e politico, in molti filosofi e specialmente in Platone. Legato al concetto di giustizia si ha quello di limite, ossia di né troppo né troppo poco. Vale a dire il concetto della giusta misura.
Determinate nello sviluppo della filosofia antica nei termini che conosciamo la rivestì l'Orfismo. Questo movimento religioso ha come iniziatore il poeta tracio Orfeo, il quale, al contrario di Omero, affermava l'immortalità dell'anima e definisce l'uomo secondo la dualità corpo-anima.
Orfeo affermava che in ogni uomo si incarna un demone, o anima, a seguito di una colpa originaria. L'anima, quindi, non muore con la cessazione materiale del corpo, ma ha un ciclo di reincarnazioni e di rinascite per espiare quella colpa originaria. Ci troviamo innanzi alla concezione della metempsicosi, della reincarnazione, predicata anche da Platone. Senza l'Orfismo, quindi, non potrebbero essere spiegate alcune teorie avanzate da Pitagora, da Eraclito, da Empedocle, e, ovviamente, da Platone stesso.
La filosofia nasce tra il VII e il VI sec. a.C., ossia nel periodo di maggiore floridezza economica dell'antica Grecia, che subì una trasformazione socio – economica radicale grazie allo sviluppo dell'artigianato e del commercio. Sviluppo che interessò per prima le colonie e dopo la madrepatria. Ed infatti i primi filosofi sono della colonia greca di Mileto, in Asia minore e, subito dopo, delle colonie dell'Italia meridionale. In che senso l'agiatezza economica abbia favorito la genesi della filosofia lo chiarisce già Aristotele, che afferma:
Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall'ignoranza, è evidente che ricercano il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica. E il modo stesso in cui si sono svolti i fatti lo dimostra: quando già c'era pressoché tutto ciò che necessitava alla vita ed anche all'agiatezza ed al benessere, allora si incominciò a ricercare questa forma di conoscenza.1
Sono del parere che le motivazioni che hanno permesso la nascita della filosofia siano da ritrovare nella mancanza di uno statuto religioso solido unito a quella particolare forma di governo che si seppero dare, e che li mise, rivoluzionarmene per quel tempo, nella condizione di cittadini e non di sudditi. Se facciamo una comparizione con altre culture antiche, vediamo che queste componenti vengono a mancare.
I popoli di un tempo, infatti, si organizzarono in senso teocratico, e anche quando assunsero una forma di governo simile a quella greca, come i sumeri2, organizzati in città-stato, le cose non cambiarono e religione e potere rimasero indissolubilmente legati. Non è un caso quindi, che le opere mesopotamiche trattino esclusivamente di argomenti religiosi, e la scienza che svilupparono, come l'astronomia, avesse delle finalità predittive e mistiche. Stesso discorso vale per la cultura egizia, in cui l'imperatore era un dio in terra. Qui le conquiste tecniche, come la mummificazione, si spiegano solo in senso religioso.
In poche parole, in quasi tutti i popoli di un tempo la cultura non solo era subalterna alla religione, ma trovava origine da essa. Presso i Greci, invece, nasce per svincolarsi dal mistico e si configura sin da subito come pensiero libero, che trova spiegazione in se stesso, scevro da qualsiasi applicazione pratica. La stessa morale greca si connotava in tal modo. Per il greco l'azione buona non ha un tornaconto, ma trova spiegazione in se stessa. Ed infatti, il premio dell'azione virtuosa consiste nell'azione stessa. In ciò ritrovo qualcosa di più grande di qualsiasi morale religiosa, in cui l'azione buona è una moneta da pagare per entrare in un qualche paradiso.
Il pensiero greco ricerca il vero non per utilità, ma al fine dell'acquisizione stessa. Acquisizione che non migliora la vita nei termini pratici, ma che la migliora in termini qualitativi.
  • 1 Aristotele, Metafisica I,2,982b
2di molto precedenti ad essi

Nessun commento:

Posta un commento