sabato 26 maggio 2012

La cosmogonia maya.



Il cosmo maya, scrive Pietro Bandini,

“era strutturato in tre domini:
  1. la volta celeste con il suo imponente meccanismo degli astri divini;
  2. gli inferi o mondo parallelo Xibalbà, il regno degli dei degli inferi, dei morti e degli avi;
  3. l’interregno terreno degli uomini, degli animali, delle piante, posto tra il mondo degli dei e quello degli spiriti e in costante rapporto con questi due mondi”.1

La cosmologia maya era molto complessa e oscura, sembra infatti che dividessero il cielo in tredici compartimenti, in ciascuno dei quali risiedeva un dio. Scrive Eric Thompson2 che:

“Tali compartimenti forse erano concepiti come altrettante fasce orizzontali sovrapposte, o forse come tanti gradini ascendenti e discendenti: sei ascendenti ad est e sei discendenti ad ovest con il settimo al vertice, sicchè i gradini uno e tredici, due e dodici e via dicendo, erano alla stessa quota”.

Il cielo era sorretto da quattro dei, i Bacab, situati ai quattro lati del mondo. Queste divinità appaiono nel Codice di Dresda come coloro che trasportano il dio dell’anno nuovo. In un edificio a Chichen Itzà, scrive Norman Hammond,3 siedono in due coppie, l’uno di fronte all’altro. Il primo ha una conchiglia sul dorso, il secondo una ragnatela, il terzo un carapace di tartaruga, il quarto, infine una conchiglia a spirale. Tutti questi ornamenti hanno un forte significato mistico: la conchiglia rimanda allo zero e quindi al sacrificio, la ragnatela rappresenta il cielo notturno, la tartaruga è, per i Maya, una delle raffigurazioni della terra, mentre la spirale si connette all’infinito e al sacrificio come vettore motore del cosmo. Importanti informazioni su queste divinità sono state lasciate dal monaco De Landa, il quale scrive:

“tra gli dei che questa gente adorava ce n’erano quattro chiamati Bacab. Dicevano che questi erano quattro fratelli che Dio collocò nelle quattro parti del mondo all’atto della creazione affinché sostenessero il cielo per impedirne la caduta. […] Danno a ciascuno di loro un nome con cui indicano la parte del mondo in cui Dio li aveva posti a sostenere il cielo e associano uno di questi quattro simboli ad ogni Bacab e alla parte del mondo in cui si trova. ”4

In ciascun lato del mondo sorgeva una sacra Ceiba ( albero del cotone selvatico che, secondo i Maya, univa i tre regni). Questi alberi erano legati ai colori del mondo, i maya, infatti, ritenevano che ogni punto cardinale avesse un colore specifico: rosso per l’est, bianco è il per il nord, nero per l’ovest e giallo per il sud.Si aveva anche un quinto colore, (il verde) per il centro. Qui si aveva un’altra ceiba, la più importante, il cui tronco si innalzava sulla terra, le radici affondavano negli inferi e i rami raggiungevano il cielo. Chiamato Wacab Chan, e cioè cielo innalzato, precisa Pietro Bandini che

“gli dei, con l’ aiuto di quest’ albero gigantesco, tendevano il cielo verso l’ alto come un enorme tetto a piramide”.5

Il Wacab Chan conserva un significato spirituale molto forte in quanto “l’albero del mondo è un portale fondamentale che permette la comunione dell’uomo con il divino”.6
Ogni colore aveva un significato ben preciso, per esempio il nero era il colore degli inferi e della morte, il rosso del sacrificio, il verde della fertilità. La terra concepita come piatta era considerata il dorso di un mostruoso coccodrillo, o di una tartaruga o di un giaguaro galleggiante su uno specchio d’ acqua pieno di ninfee. Il mondo degli inferi, Xibalbà, era invece strutturato in nove livelli, ognuno con a capo una divinità. Gli inferi, destinazione di gran parte dei Maya dopo il decesso, venivano concepiti come un luogo freddo, triste. Era anche luogo di passaggio del sole e della luna dopo che scomparivano dall’ orizzonte7. In tutta la mesoamerica infatti si riteneva che il sole dopo avere attraversato, durante il giorno, il cielo, scendesse negli inferi. Raggiunto il paese e gli dei della morte viaggiando di notte da ovest ad est, l’astro giungeva in tempo per risalire in cielo ogni mattina. Durante tale tragitto perdeva parte della propria energia e l’uminosità. Ciò per due motivi:
  1. perchè subiva l’influsso malefico delle divinità degli Inferi;
  2. perché utilizzava buona parte delle proprie forze per sconfiggere i signori del male, contro i quali intratteneva una quotidiana lotta.
Ora poiché il sole si sacrificava ogni giorno, i Maya erano in dovere di ridargli l’energia persa durante il percorso, se non altro per perdurare il cosmo. Ciò poteva essere fatto solo con il sacrificio di sangue. I Maya sicuramente credevano in un aldilà. Il popolo riteneva che vi fosse una regione sotterranea abitata dai morti. Zona governata dal signore della morte Cisin ripetutamente raffigurato nei codici maya. Molte chiare sono le informazioni riportate dai due mayanisti Linda Shele e David Freidel8 circa la cosmogonia maya. Essi scrivono che:

Il mondo dei maya era formato da tre strati sovrapposti: la volta stellata del cielo, il Mondo mediano, fatto di pietra, della terra, creata per fiorire e fruttificare grazie al sangue dei re, e le acque scure del Mondo sotterraneo. Dire tuttavia che i maya li considerassero tre regioni distinte significherebbe dare un’impressione sbagliata, poiché essi erano convinti che tutte le dimensioni dell’esistenza fossero interrellate fra loro. Inoltre i tre regni erano considerati vivi e dotati di potere sacro, compreso il cielo, rappresentato da un grande mostro simile a un coccodrillo. Questo Mostro cosmico produceva la pioggia quando spargeva il proprio sangue, in un contrappunto soprannaturale ai sacrifici regali compiuti sulla terra sottostante.[…]Il mondo sotterraneo veniva chiamato Xibalbà.[…] Al tramonto Xibalbà ruotava, spostandosi al di sopra della terra per divenire il cielo notturno. Il piano dell’esistenza umana, così come l’Oltremondo, era un luogo sacro. I Maya concepivano il mondo umano come una regione che galleggiava sul mare primordiale; a volte, infatti, rappresentavano la terra come il dorso di un caimano o di una tartaruga. I quattro punti cardinali costituivano la griglia di riferimento fondamentale per la comunità maya e per la superficie del mondo; per i Maya, però, l’asse principale del Mondo mediano era il percorso del sole, che si spostava da oriente a occidente nel suo viaggio quotidiano. Ogni direzione della bussola era associato a un albero speciale, a un uccello, a un colore, alle divinità legate al suo dominio e ai riti relativi a quelle divinità. L’est era rosso ed era anche la direzione più importante, perché era da quella parte che sorgeva il sole. Il nord, definito a volte il lato del paradiso, era bianco, ed era la direzione da cui provenivano le piogge fresche dell’inverno; inoltre era la direzione della stella del nord, intorno a cui ruota l’asse del cielo. L’ovest, il luogo dove il sole scompare o m

uore, era 
nero. Il sud era giallo ed era ritenuto il lato destro, o grande lato del sole. In base alla concezione maya, nella parte superiore di ogni mappa doveva figurare sempre l’est, e non il nord.
Questo modello del mondo, tuttavia, era circolare, oltre che quadrangolare. I quattro punti cardinali erano visti anche in relazione al centro, che aveva anch’esso un colore (verde-azzurro), delle divinità, un uccello e un albero. I Maya immaginavano che in quel punto centrale vi fosse un asse chiamato Wacab Chan[…]. L’albero che simboleggiava questo asse si trovava nello stesso tempo in tutti e tre i regni verticali: il tronco attraversava il Mondo mediano, mentre le radici affondavano fino al nadir nella regione acquea del Mondo sotterraneo, e i suoi rami s’innalzavano fino allo zenit nello strato superiore della regione celeste dell’Oltremondo.[…] Inoltre non sempre Xibalba si trovava al di sotto del mondo terrestre, poiché di notte ruotava in modo da prendere posto in alto, nel cielo notturno. I Maya consideravano le stelle e le costellazioni, i pianeti e la luna, come esseri viventi che interagivano con i cicli naturali e sociali del Mondo mediano. Per gli antichi Maya il mondo delle stelle era vivo quanto il mondo dell’umanità. L’osservazione astronomica non era una questione di semplice curiosità scientifica, ma una fonte di conoscenze vitali su Xibalba e i suoi poteri. Gli schemi del cielo riflettevano le azioni e interazioni di quegli dei, spiriti e antenati, con gli esseri viventi del Mondo mediano. Tanto il re quanto il comune cittadino regolavano la loro esistenza su quegli schemi, o altrimenti ne subivano le conseguenze ”.

Il mondo che, secondo i Maya, venne distrutto e ricostruito per ben tre volte, era considerato indissolubilmente legato a quello spirituale. Per tale motivo, il popolo mostrava grande reverenza per gli dei, cui non dovevano mai venir meno sacrifici e devozione.
Mercedes de la Garza scrive:

“secondo i Maya, queste entità soprannaturali avevano creato l’universo con una finalità precisa: perpetuare la propria esistenza attraverso un essere che differisce dagli altri grazie alla consapevolezza di sé, cioè l’uomo, convertito, in tal modo in motore e fulcro del cosmo[…] perciò, nonostante le deità maya fossero, sotto molti aspetti, superiori all’uomo e possedevano le capacità di creare, erano state concepite come entità imperfette che nascevano e morivano, quindi bisognose di essere alimentate per sopravvivere”.9

A seguito di tale concezione e per il legame tra il cielo e la terra, il sacrificio acquisiva un forte significato, un’importanza fondamentale in quanto permetteva di fare andare avanti le ruote del tempo e del calendario. David Webster, a ragione di ciò, scrive:
“uomini, animali, piante e perfino dei erano soggetti a cicli di morte e di rinascita. era compito degli uomini eseguire riti e fare sacrifici per ripagare il loro debito con gli dei e con gli antenati, nutrirli ed evitare il caos e i disastri assicurando equilibrio ed ordine in tutte le cose”.10

Le conseguenze di una mancata devozione potevano essere disastrose e l’ira degli dei implacabile. L’uomo maya doveva assolvere i suoi doveri, se non voleva scomparire come era successo già precedentemente con le tre distruzioni
1 Pietro Bandini, op. cit., pag. 32.
2 Eric Thompson, op. cit., pag. 277.
3 Cfr. Normann Hammond, op. cit., pag. 214.
4 Diego De Landa, op. cit., pag. 157.
5 Cfr. Pietro Bandini, op. cit., pag. 32.
6 Martin Brennan, op. cit., pag. 99.
7 Cfr. Michael Coe, op. cit., pag. 168.
8 Linda Shele-David Freidel, op. cit., pagg. 67-68.
9 Peter Schmidt- Mercedes de la Garza-Enrique Nalda, op. cit., pag. 237.

10 David Webster, op. cit., pag. 132.

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